Problematiche dell'archiviazione in un'ottica di genere

Presenze/assenze: lo scarto nella memoria

Nei fondi delle donne non si trova (e forse non si troverà mai) tutta la documentazione prodotta dal soggetto, e nemmeno tutta quella posseduta. La causa di queste "assenze" (che sono rilevanti quanto le "presenze") è da rintracciare in una vasta operazione di scarto che avviene a due livelli differenti.

Innanzitutto si può parlare di scarto nel presente, cioè al momento della produzione stessa del materiale, o al momento della sua conservazione. Alla base del complesso sistema di articolazione tra memoria spontanea e conservazione consapevole dell’esperienza vissuta sta il rapporto delle singole donne con il proprio passato individuale. Negli anni dell’attività politica dei gruppi delle donne il distaccarsi da tutto quanto rappresentava la sfera politica dominante, quella "maschile", aveva una forte valenza rivendicativa. La pratica femminista è stata vissuta come "rottura", con la cultura dell’emancipazione (rappresentata in quegli anni dall’esperienza dell’UDI), con la linea politica che privilegiava l’istanza pubblica come normativa rispetto alla pratica del "partire da sé", con i tradizionali modelli di riferimento parentali. La scelta delle forme espressive di incidenza sul terreno politico e sociale era volta a manifestare il senso di estraneità, se non di opposizione specifica, nei confronti di un contesto, una tradizione, una cultura politica anche delle donne. La parola, la pratica discorsiva era il simbolo e lo strumento di una presa di coscienza collettiva (da qui la scarsità di documentazione scritta in proporzione a quella lasciata dai gruppi, dai partiti misti), quindi canale preferenziale di comunicazione, insieme ai linguaggi non verbali (la valenza del gesto, dello sguardo, dell’immagine). In questo senso gli aspetti materiali, i problemi quotidiani della vita di un gruppo (l’autofinanziamento delle attività, la carenza di mezzi economici) non venivano registrati per incuria, perché non ritenuti importanti, e soprattutto perché non si riteneva di dover lasciare traccia della vita amministrativa. Non-rilevanza, non progettualità rispetto agli eventi, o al contrario eccessivo scrupolo di trasmissione, per cui veniva conservata solo la documentazione ritenuta significativa per l’immagine di sé e del movimento.

Nella costruzione della memoria storica del femminismo bisogna tenere presente quella "amnesia originaria" che, secondo la celebre definizione di Klejman e Rochefort, è una caratteristica strutturale del movimento delle donne. Ogni movimento femminista ha cercato, almeno simbolicamente, di azzerare i legami con la tradizione precedente

"per ragioni diverse: nei confronti degli altri movimenti, per un’esigenza di fondazione totalmente innovativa; verso i movimenti delle donne, per il prevalere di un mito di origine che non vuole affrontare fino in fondo il duplice aspetto di essere madri e figlie."

Ciò si è concretizzato in un antistoricismo di fondo tipico del movimento femminista (almeno fino agli anni ‘80) a cui si aggiunge "la predilezione, almeno in Italia, per discipline diverse dalla storia, quali la filosofia, la linguistica".

L’altro tipo di scarto responsabile della struttura frammentata dei fondi delle donne viene esercitato al momento della costruzione del fondo e della donazione all’archivio di deposito. Alle motivazioni presenti al momento del primo scarto si sommano comprensibili pudori e reticenze a consegnare il materiale più personale. Si viene a creare una situazione paradossale: di un movimento come quello femminista, la cui essenza, semplificando, può essere riassunta nello slogan "il personale è politico", il privato è in parte assente o comunque va ricercato con attenzione. L’emersione della soggettività a categoria fondante dell’esperienza pubblica e privata non è documentata come ci si aspetterebbe. Molto di ciò che dell’esperienza personale di ogni singola donna all’interno del movimento è stato scritto, quando è stato conservato, rimane ancora riservato.

In questo senso si può comprendere l’enorme importanza che riveste l’investigazione e la raccolta della memoria orale anche come chiave interpretativa della struttura, spesso fin troppo frammentaria, degli archivi e della documentazione stessa delle donne. Sono gli stessi soggetti produttori dei fondi che possono svelare i legami che intercorrono tra le carte e la memoria degli eventi, ed aiutare a trovare strumenti che rispettino e valorizzino la presenza, lo scarto e l’oblio all’interno dei fondi. L’interesse si sposta quindi dal "contenuto" al "soggetto", o meglio alle soggettività interrogate dalla memoria.

"La priorità viene posta sul costruire un sistema informativo e di ricerca che, a partire dal tipo di documenti e dalle modalità del loro ordinamento, conservazione e archiviazione, restituisca l’informazione non solo sul contenuto, l’argomento della documentazione stessa (attraverso il sistema dei descrittori e degli indici), ma anche sui SOGGETTI femminili, individuali o collettivi, che hanno prodotto i fondi stessi."

La natura sessuata della documentazione.

Per archiviare in un'ottica di genere, oltre all'eterogeneità, alla frammentarietà, e alla non-convenzionalità degli archivi del Movimento, bisogna considerare la questione del sessismo che caratterizza i linguaggi che consentono l’accesso al contenuto informativo dei documenti, strumenti solitamente percepiti come neutri e asettici.

Il sessismo è inscritto non solo nel lessico, ma nel funzionamento stesso del sistema linguistico.
La lingua non è solo il prodotto e il riflesso della organizzazione sociale dei parlanti, ma è, innanzitutto, lo strumento che dà forma alla realtà, è il luogo in cui si costruiscono e stabiliscono i modelli di comportamento, le rappresentazioni sociali, le visioni del mondo a cui si adeguano e conformano le donne e gli uomini.
Anche se non è possibile modificare con semplici atti volontaristici le strutture profonde di senso inscritte nel sistema linguistico, l’adozione di meccanismi e dispositivi che segnalino alcune disimmetrie grammaticali e semantiche tra il maschile e il femminile presenti nel linguaggio, è l’inizio di un percorso di riflessione e pratica, individuale e collettiva, volto a permettere il libero formarsi ed esprimersi della soggettività femminile.
L’eperienza e la riflessione degli ultimi 30 anni hanno messo in crisi la tradizionale separatezza, nell’organizzazione sociale del sapere, tra ambiti quali il lavoro, la cultura e la politica (in cui dominante è la logica e il codice linguistico maschile) e ambiti del cosiddetto privato-familiare, in le donne stenteno ad avere un riconoscimento pieno ed effettuale del valore sociale del lavoro di riproduzione e di produzione simbolica ad esso relativo.
Riflettendosi sulla lingua, tale separatezza ha deteminato la scissione tra un linguaggio pubblico, in cui le donne, se sono presenti, sono omologate al maschile, e un linguaggio degli affetti, della sfera relazionale, della vita quotidiana, connesso con il femminile.
Il movimento delle donne ha in questi anni operato per una contaminazione tra le due sfere (lo slogan "il personale è politico").
Tutto ciò ha detrminato grossi cambiamenti nel linguaggio usato dalle donne, cambiamenti che vanno attentamente valutati e rappresentati soprattutto se si esamina il contenuto informativo del materiale che esemplifica questi cambiamenti, cioè quello prodotto dalle donne.

La Rete Lilith ha scelto di servirsi del primo thesaurus di lingua italiana che tiene conto degli aspetti sessuati del linguaggio, LinguaggioDonna, la cui prima edizione risale al 1991.
Adottare uno stumento come il thesaurus ha permesso di rappresentare la specificità dei fondi documentari delle donne, "specificità che non è ridefinizione solo di ambiti tematici, anche di dimensioni di esperienza e di pensiero, con precisi riverberi sul contenuto semantico delle parole" (A.PERROTTA RABISSI, M.B.PERUCCI, Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana, "Bollettino del Centro di studi storici sul movimento di liberazione della donna in Italia", 1991, 6. Numero monografico, p. 17.)
Un thesaurus è un vocabolario dinamico ma controllato di termini (chiamati "descrittori") correlati tra loro logicamente e semanticamente, e selezionati a partire dal linguaggio naturale dei documenti. Un thesaurus "di genere" nasce dalla constatazione del sessismo che caratterizza il linguaggio, e in particolare i linguaggi di classificazione. Si propone di dare conto delle trasformazioni dello scenario sociale e culturale, dei percorsi delle donne, sottolineando la correlazione tra i modelli culturali dominanti e la struttura del linguaggio, gli aspetti di monosessuazione e i segnali di mutamento verso una doppia sessuazione, diventando così in ambito storico uno strumento indispensabile per interrogare le fonti.
La lingua, infatti:
"non è solo il prodotto e il riflesso della organizzazione sociale dei parlanti, ma è, innanzitutto, lo strumento che dà forma alla realtà; è il luogo in cui si costruiscono e stabiliscono i modelli di comportamento, le rappresentazioni sociali, le visioni del mondo a cui si adeguano e si conformano le donne e gli uomini" (A.PERROTTA RABISSI, M.B.PERUCCI, Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana, cit., p. 27).

I problemi dell'ordinamento dei fondi archivistici delle donne.

L’ordinamento e l’inventariazione di un fondo costituiscono gli aspetti più qualificanti e più specifici del lavoro di un’archivista. Sono operazioni indispensabili, piuttosto complesse, che rispondono a criteri metodologici diversi, ma entrambe hanno lo stesso obiettivo: una corretta conservazione delle fonti destinate all’uso pubblico.

La corretta conservazione comporta lo studio del soggetto produttore del fondo, l’organizzazione sistematica dell’archivio e la compilazione degli strumenti per eseguire ricerche.

Vi sono vari metodi di ordinamento:

  • Cronologico, cioè in ordine di data di produzione del documento.
  • Alfabetico (per cognome di persona o nome di ente)
  • Geografico
  • Per materie, o secondo il principio di pertinenza. Questo tipo di o. consiste nel disporre tutte le carte di un archivio secondo la materia trattata, sulla base di un quadro di classificazione formato dall’archivista (anche su basi discusse coralmente), senza tener conto della provenienza dei documenti. Lo si può utilizzare sia per riordinare un intero archivio sia all’interno di un singolo fondo o di una serie. Per gli archivi in toto si tratta di un metodo apparentemente molto seducente, in genere il primo che viene in mente a chi non si è mai occupato di archivi, ma in effetti sconvolge assolutamente l’ordine originario delle carte, le scorpora dalle serie di provenienza, ne sopprime il vincolo archivistico.
  • Ordinamento secondo il "metodo storico", che si basa sul principio di provenienza, per cui l’archivio deve rimanere esattamente come l’ha costituito il soggetto produttore, senza smembramenti o interventi che ne alterino profondamente la struttura. Vi sono casi in cui però non è sempre possibile adattare il metodo storico alle reali esigenze di archiviazione e conservazione della documentazione. Nel caso dei fondi delle donne, che si presentano generalmente come grandi e disordinate miscellanee in cui spesso non sono rintracciabili né competenze specifiche del soggetto nè alcuna traccia di ordinamento originario, l’interesse per il principio di provenienza diventa rispetto del soggetto stesso, o meglio, della soggettività espressa dalle carte dell’archivio. L’identità della persona, le notizie sulla sua vita vanno valutate attentamente, considerando però, nell’esaminare la documentazione, anche i limiti della "teoria del rispecchiamento", cioè dell’identificazione tra l’archivio e il soggetto produttore.

 

METODO STORICO

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PRINCIPIO DI PROVENIENZA

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RISPETTO DEI FONDI

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RISPETTO DEL SOGGETTO E DELLE SOGGETTIVITA’ ESPRESSE DAI FONDI

L'ordinamento dei fondi femministi presuppone una buona conoscenza della storia del movimento, perchè sia possibile identificare o attribuire con sufficiente sicurezza date, contesto politico e locale, ecc. Preliminare e contestuale alle fasi di ordinamento dev'essere quindi una fase di studio e approfondimento, che passa dalla lettura dei giornali e delle riviste contemporanee alla documentazione, all'interrogazione della memoria orale delle protagoniste.

Nell’impossibilità di ricostruire l’archivio originario si deve mantenere nei confronti della documentazione l’atteggiamento di un "conservatore delle fonti", prestando, in fase di progettazione dell’intervento di riordino del materiale, una grande attenzione ai criteri metodologici impiegati e all’architettura logica complessiva del fondo, procedendo ad un’organizzazione sistematica degli oggetti archivistici sulla base di criteri teorici (il "metodo storico"), logici (ordinamento cronologico, per tipologie, per responsabilità intellettuale etc.), e tecnici (descrizione archivistica, uso di un applicativo - come Lilarca)