Archiviazione ed informatizzazione dell’archivio del Cedostufe, nodo romano della Rete Lilith, dialogo tra Stefania De Biase e Simonetta De Fazi. In: Leggere Donna, n. 192, luglio-agosto 2021, p. 40-41

Nel  linguaggio comune, mediato da quello giuridico, “archiviare” è un termine che si riferisce a qualcosa di finalmente concluso e che spesso si era aperto con finalità poi rivelatesi sbagliate. Tutto il contrario di ciò che è capitato al “progetto Now” contenuto nell’archivio del  Cedostufe (Centro Documentazione e Studi sul Femminismo di Roma) di cui ora l’associazione Archivia ha fatto l’inventario. Si tratta di un progetto del 1993 nato all’interno della Rete Lilith – la Rete prima della rete (internet) – e finalizzato ad implementare, come condiviso nei programmi e negli auspici dall’Unione europea, l’occupazione femminile creando nuove figure professionali nell’ambito della documentazione con attenzione alla differenza di genere.

E stavolta applaudo al termine tecnico “inventario” proprio per quel rimando all’invenzione che è stato un tratto distintivo della Rete Lilith e dei suoi centri che, non solo a Roma, aderirono al progetto Now forti dei loro prototipi come il loro lavoro sul linguaggio, sulla catalogazione e archiviazione al femminile attenti alla gratuità del software utilizzato ed ai problemi, ancora oggi non archiviabili, di condivisione dello stesso.

Finalmente, grazie alla Direzione generale degli Archivi (Ministero beni culturali),  l’associazione Archivia, centro depositario del fondo del Cedostufe e nodo della Rete Lilith, ha vinto il bando del 2020 sugli archivi dei movimenti e partiti politici e grazie alla Soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio  che nel 2019 aveva dato un contributo, è stato inventariato ed informatizzato tutto  e quindi anche le carte  relative a questo progetto.

Io – Stefania De Biase – nel 1993 stavo nel centro DWF, altro nodo romano della Rete e seguivo con ammirazione il progetto NOW approntato dal Cedostufe con presidente Maria Laura Capitta e  direttora Simonetta De Fazi. È quindi con estremo piacere che condivido con quest’ultima la notizia dell’inventariazione del loro archivio, le chiedo di parlarne ancora una volta ed esordisco: “a DWF Paola Bono credeva in Lilith ma poi tutto era sulle spalle mie e di Stefania Zambardino che, non ancora trentenni non ce la sentimmo di organizzare il progetto NOW e seguimmo interessatissime quello che facevate voi”.

“Avevate ragione – dice Simonetta – le stesse archiviste di Memoria nel curare l’inventario hanno parlato di una ‘ ridondanza informativa’ dovuta a procedure variabili e non chiare di rendicontazione, che ci costrinsero a una iperproduzione di rapporti e ad una quasi maniacale cura di ogni aspetto formale, dovendo peraltro – unico Paese – accendere una fidejussione e dei prestiti, ciò che divento la nostra ossessione. Il progetto Now era il primo progetto europeo per l’occupazione femminile e le istituzioni italiane non erano assolutamente preparate: andavamo quasi quotidianamente con scarsa fortuna al Ministero del lavoro per avere informazioni sulle procedure. Non dimenticherò mai l’ispezione durata 17 giorni al termine del corso, con l’ispettrice che si incuriosì di una fattura per 47.000 lire, avente ad oggetto l’acquisto di un pannello di masonite. L’avevamo utilizzata per farne delle tavolette di appoggio per le 100 candidate, non avendo banchi sufficienti per far svolgere la selezione. L’ispettrice del ministero volle vedere le tavolette in cui si era trasformato il pannello, così come controllò la corrispondenza fra le timbrature dei biglietti dell’autobus (che venivano rimborsati alle allieve) e le firme di presenza. Certo, alla fine lei stessa si sperticò in lodi, ma fu uno stress che mi costò anche le ferie. Tutto ciò,  mentre cercavamo di coinvolgere i maggiori interlocutori istituzionali, professionali e politici (AIB, AIDA, Archivi del ‘900, Treccani, UDI, Biblioteca della Camera dei deputati, Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Istituto Gramsci, Archivio di stato). Questi fecero parte delle docenze ed al termine fummo in grado di assicurare stage e incarichi a tutte  le corsiste sollevando lo stupore e l’interesse dell’Ufficio per l’Impiego. Dovemmo anche fare fronte al problema più grave che ancora una volta la diceva lunga sull’impreparazione delle istituzioni italiane: la Regione Lazio ci annunciò verso la fine del corso che non avrebbe riconosciuto il titolo. Una brillantissima idea della nostra compagna Elisabetta Cerroni servì a ridare lustro all’attestato che fornimmo: chiamammo le più alte personalità del mondo della documentazione e furono loro a certificare le competenze raggiunte dalle corsiste. Alla fine, dopo aver richiesto un prestito bancario di cui ‘ovviamente’ non ci furono riconosciute le spese, riuscimmo, a differenza di altre organizzazioni, a realizzare una visita-studio al Centro femminista di Copenaghen e ad altre realtà istituzionali e associative, per analizzare i loro metodi, conoscerne gli strumenti, i progetti e le reti, scoprendo anche in quella occasione – con sorpresa e orgoglio – che su molte cose la Rete Lilith era molto avanti. Sarebbe interessante, a distanza di tanto tempo, interpellare in proposito alcune delle corsiste, magari realizzando un video nel nostro prossimo sito.”

“Ecco perché – la interrompo – non si può che interpretare positivamente quell’osservazione dell’impiegato del Ministero del lavoro, intesa come critica e come limite per vostri futuri progetti, per cui ‘avevate fatto troppo con troppo poco‘ “.