Intervento di Paola De Ferrari al seminario della Società Italiana delle Storiche Trent’anni di SIS (1989-2019). Memorie, ricerche, archivi , Roma, Casa internazionale delle donne, 15 giugno 2019. “Al centro dell’incontro è il progetto di riordino e di messa a disposizione dell’archivio della SIS, sul quale abbiamo chiamato a riflettere e discutere“.

Nel mio intervento inizierò parlando degli archivi femministi a partire dagli anni Ottanta, con una breve premessa sulla situazione di allora.

Nel corso dei Settanta, come è noto, i molti collettivi e gruppi locali con i quali si esprimeva il movimento femminista avevano fitte relazioni tra loro, mediate soprattutto dai contatti personali, oltre che dalle riviste del movimento, come Effe, Sottosospra, DWF, e lettere e rubriche sui giornali della sinistra extraparlamentare. La circolazione di inviti, volantini, documenti era intensa, molteplici le occasioni di incontro di persona nel corso di manifestazioni e viaggi, in cui si faceva incetta di documenti di svariate provenienze. Erano nate le Librerie delle donne (Maddalena Libri a Roma, la Librellula a Bologna, la Libreria delle donne a Milano, la Libreria delle donne di Firenze, la Libreria Lilith a Genova, per fare degli esempi) che erano anche luoghi di redistribuzione di documenti militanti. L’ottica della produzione e circolazione di questi testi era molto incentrata sul presente, sul loro uso immediato nel contesto delle mobilitazioni di movimento.

Verso la fine dei Settanta e inizio Ottanta nascono i “Centri di documentazione” in varie città, collegati a gruppi femministi e a librerie, che iniziano a raccogliere sistematicamente i materiali che circolano. Si cominciano a creare così i primi nuclei di documentazione.

Si arriva così al 1983, in cui si organizza un Coordinamento dei centri documentazione, biblioteche e librerie delle donne.

Nella primavera del 1986 si tiene a Roma un incontro, promosso dalla rivista DWF, sulla politica e sulla realtà dei centri di documentazione, e nello stesso anno si tiene a Siena il grande convegno nazionale “Le donne al centro“.

Cito da un articolo di Simonetta De Fazi, pubblicato su DWF n. 2/3 del 2007, che bene esprime le problematiche dell’epoca:

la diffusione dei centri accelerò la messa in campo di alcune questioni che fino ad allora erano rimaste sullo sfondo o che erano senz’altro inedite per i gruppi politici del femminismo.

I centri svolgevano un’attività che per certi versi era di servizio e per altri di ricerca, avevano bisogno di – e spesso sviluppavano – competenze professionali specifiche, possedevano un patrimonio fisicamente consistente. Dunque, per farla breve, avevano bisogno di stabilità, spazio e risorse. Il tutto, in un periodo in cui l’evoluzione delle tecnologie cominciava ad avere un impatto più diffuso (…)

I rapporti con le istituzioni locali, gli enti di ricerca e le organizzazioni professionali; l’opzione tra autofinanziamento e finanziamento pubblico; l’impostazione del lavoro per progetti; la ricerca di finanziamenti stabili; l’acquisizione di competenze informatiche e lo sviluppo di interventi formativi specifici.

Quali erano i rapporti in quel frangente con i preesistenti Archivi storici delle donne?

Non dobbiamo dimenticare la presenza in alcune città di importanti archivi di organizzazioni sia della prima che della seconda metà del Novecento, come l’Unione femminile nazionale (1899), il CNDI Consiglio nazionale delle donne italiane (Roma 1903), la Fildiss, Federazione italiana laureate e diplomate istituti superiori (1920), e delle organizzazioni del secondo dopoguerra, l’UDI, il CIF, Noidonne, l’Archivio Camilla Ravera (donne del PCI ora alla Fondazione Gramsci romana) e altri.

Scarsi i rapporti con i Centri di documentazione, salvo eccezioni.

Si arriva quindi, verso la fine degli Ottanta, alla presenza di una forma di Rete tra centri di documentazione variamente emanati da gruppi di donne, librerie, case delle donne, associazioni, centri studi, riviste, case editrici.

La Rete Lilith

L’idea della Rete nasce a Firenze, dal centro “Fili” appoggiato alla Libreria delle donne di via Fiesolana, con Eugenia Galateri e Piera Codognotto, rispettivamente documentalista informatica e bibliotecaria, verso il 1990.
La proposta politica si incentrava su un progetto di condivisione, paritaria, tra i soggetti che avevano raccolto libri e documenti prodotti dai movimenti femministi, e dalle donne del Novecento. Erano fondanti la critica al sistema patriarcale che sottendeva il discorso storico e tecnologico dominante, il linguaggio, i metodi formativi. Si cercava un rapporto con le tecnologie emergenti che fosse consapevole e critico, per usarle in modo democratico e cooperativo e non farsene usare, precorrendo i tempi. Non si volevano solo conservare documenti, ma farli trovare, renderli accessibili. Occhio attento anche nella formazione di nuove esperte, strumenti e competenze erano orientate da una consapevolezza di genere.
Per iniziare a realizzare questo programma si pensò di creare una banca dati collettiva con i documenti posseduti dai singoli centri di documentazione, consultabile da postazioni in ciascun centro e informatizzata usando il software CDS/ISIS, distribuito dall’Unesco. Era un sw libero e gratuito, personalizzabile lavorando sul codice con il linguaggio Pascal, molto usato da biblioteche dei paesi del Sud del mondo. I centri che inizialmente aderirono furono Bologna, dove aveva sede il Coordinamento dei centri; Firenze con Fili; Roma con DWF, il Centro documentazione e studi sul femminismo e, successivamente, con la Ong Prodocs; Ferrara con il Centro documentazione donna e la prima presidente della Rete, Luciana Tufani; Cagliari con il Centro documentazione e Cooperativa la Tarantola e Milano, con quella che oggi è la Fondazione Elvira Badaracco.

La rete viene formalizzata nel 1993 con statuto notarile, a quel punto anche il Coordinamento Donne lavoro cultura aderisce, e in seguito molti altri, fino ad arrivare alla situazione del 1996 di 23 centri associati e 13 centri abbonati (Comitati di pari opportunità o Università e biblioteche pubbliche che usufruivano delle basi di dati). I centri associati erano sparsi in tutta Italia, nelle città di Bari, Bologna, Bolzano, Cagliari, Cesena, Ferrara, Firenze con due centri, Genova con due centri, Grosseto, L’Aquila, Milano con 4 centri, Modena, Novara, Palermo, Pisa, Rimini, Roma, Siena, Soverato, Torino con due associazioni, Trieste.

Come funzionava?

In modo macchinoso, viste le tecnologie disponibili per noi all’epoca. Ricordiamo che Internet e il web non erano ancora diffusi. I centri inserivano sui pc i record che venivano esportati su floppy disk e spediti a un gruppo di lavoro, dove venivano corretti e cumulati. I record e l’applicativo poi venivano redistribuiti a tutti i Centri, che li scaricavano sul proprio sistema locale. Per arrivare a una certa sicurezza in queste operazioni la Rete forniva il supporto di consulenza e incontri di formazione. Ci arrivavano fino ad 12 floppy disk, due volte all’anno! Un lavoro volontario e faticoso, ma in questo modo siamo riuscite a creare la base dati bibliografica Lilith, con 33mila record, e altre basi con lo spoglio della rivista Leggere donna di Luciana Tufani, prima presidente della Rete, di una base dati di libri per bambine di Bologna, delle riviste possedute dalla Rete e della rivista DWF, del thesaurus che abbiamo usato (Linguaggiodonna) e in seguito della base dati archivistica Lilarca di cui parlerò tra poco.

Il linguaggio di descrizione dei documenti

A proposito del Thesaurus, argomento tuttora di attualità.

Grazie alla sperimentazione della biblioteca di “DWF”, che fu una delle prima aperte al pubblico, e una delle prime dunque ad adottare gli standard internazionali di descrizione bibliografica, ovvero la classificazione Dewey e il soggettario nazionale, si constatò che per recuperare il tipo di documenti che avevamo, con quegli strumenti, si doveva passare attraverso una ricerca infinita, il necessario accompagnamento di una persona esperta e la sopportazione di generalizzazioni intollerabili (parole di Simonetta del già citato articolo). Che parole chiave si dovevano usare per non tradire la specificità del linguaggio femminista dei documenti e dei concetti che esprimevano? Già dal convegno del 1989 a Milano “Perleparole”, organizzato dal Centro studi storici di Milano, le problematiche del linguaggio sessista e della necessità di un linguaggio di genere appropriato erano state messe all’ordine del giorno, e lo stesso Centro aveva creato un primo nucleo di thesaurus, sul quale si continuò a lavorare, fino a produrre il libro/manuale “Linguaggiodonna”, curato da Adriana Perrotta e Beatrice Perucci, e adottato da tutti i centri associati. Il Thesaurus è una lettura interessante anche oggi: le parole chiave, o descrittori, erano concetti organizzati in una struttura ad albero, dai più generali ai più specifici, e si basavano sul linguaggio naturale dei documenti e libri trattati. Per fare degli esempi, si usava la doppia desinenza di genere, (bambini e bambine, partigiani e partigiane), non il maschile plurale; stupro era accreditato al posto di violenza sessuale, perché la sessualità era un valore positivo e non andava accostato a un crimine. E così via, in una rivisitazione minuziosa e profonda del linguaggio1. L’idea guida era che il linguaggio possedeva un potere performativo, di dare senso alle cose e alle relazioni, di farle accadere, e non solo di descriverle. Che il maschile si traveste da neutro-universale e attraverso il linguaggio permea l’intera concezione del mondo patriarcale… concetti oggi molto diffusi.

Formazione e autoformazione

Ma la formazione delle operatrici dei centri andava anche oltre, bisognava conoscere il funzionamento del software, la catalogazione libraria… lavoro capillare, minuzioso, che ebbe impulso anche grazie a diversi corsi europei NOW (New Oportunities for Women), che tra il 1993 e 1995 si svolsero organizzati da alcuni Centri della rete, a Roma per esempio dal Centro documentazione e studi sul femminismo, e che videro realizzarsi un gruppo nutrito di interlocutori sia istituzionali che di altri enti che avevano le stesse esigenze (ad esempio, l’AAMOD). Da un confronto durante il viaggio in Danimarca con analoghi centri, che erano in rete ma non avevano una base dati comune, si constatò che il progetto Lilith era in questo senso più avanzato anche se molto più povero…

Arriva internet, si pensa agli archivi

Nel 1996 la rete si presentò a Torino, al Salone del Libro, in uno stand condiviso con la casa editrice Leggere donna. Ci furono in quei giorni molti eventi: presentazioni di libri, riviste e realtà di donne e uomini e la presentazione al pubblico del nuovo libro prodotto dalla Rete, in collaborazione con il CDLC genovese: “Reti della memoria. Censimento di fonti per la storia delle donne in Italia” curato da me con Oriana Cartaregia. Era il prodotto della attività di un gruppo di lavoro specifico della Rete sul tema “archivi femministi”, operante da almeno due anni. Molti centri possedevano quello che allora si chiamava “materiale grigio”, o non book materials, che in genere veniva catalogato con regole documentalistiche o bibliografiche. I centri lo avevano accumulato senza conservare, in genere, traccia di chi aveva donato i documenti, organizzandolo talvolta per ente produttore, talvolta per temi, talvolta cronologicamente…non c’erano criteri omogenei, e archivistici, salvo in alcuni archivi di già consolidata esperienza. La presenza nel decennio nel nostro orizzonte culturale di riviste come Memoria, l’uscita di libri come “Storie di donne e femministe” di Luisa Passerini nel 1991, e “Il movimento delle donne in Emilia-Romagna. Alcune vicende tra storia e memoria” dell’anno precedente avevano rivoluzionato il nostro modo di guardare questo tipo di materiali, potevano essere fonti per una storia delle donne, se trattati in modo da non perdere tutte le ricche informazioni di contesto e struttura che un fondo d’archivio possiede, potevano essere chiavi per accedere a un mondo non solo di pensieri e immagini stampate e scritte, ma anche di soggettività femminili singole e plurali che quelle carte avevano prodotto, accumulato e donato. Ci siamo aperte alle problematiche delle fonti d’archivio e al loro trattamento per poterle ordinare, conservare e descrivere, grazie alle parole di archiviste professioniste, che hanno contribuito anche a Corsi NOW, come Linda Giuva e sue colleghe 2

In Reti della memoria sono stati censiti 77 fondi documentari, comprese alcune raccolte, possedute da 36 Enti sparsi in varie regioni, tra Centri di documentazione delle donne, Udi e istituti vari. Un inizio ovviamente, ma di cui non c’erano precedenti e che si era potuto realizzare grazie alla trama di contatti della Rete.

E nel frattempo si diffonde la posta elettronica, internet entra nei nostri computer, si apre tutto un mondo nuovo di risorse e problemi.

Lilarca

Una volta censiti un certo numero di fondi documentari e stabilite le linee del trattamento archivistico da applicare, nel gruppo di lavoro della Rete si inizia a ragionare su un nuovo applicativo dedicato, sempre sulla base di Winisis, cioè Isis per Windows. Non voglio dilungarmi, solo rendere il giusto riconoscimento a Graziella Casarin, oggi bibliotecaria a Firenze, allora giovane laureata in filosofia che riuscì nell’impresa. Lilarca da lei creata aveva maschere di inserimento per ogni livello di descrizione, e link tra le stesse, quindi prevedeva una navigazione tipo web, oltre che la ricerca con descrittori del Thesaurus, indici di nomi, di date, di enti produttori e di luoghi. A tutti i livelli si potevano creare descrizioni testuali, e cominciammo ad usare anche gli standard internazionali ISAD e ISAAR, nel frattempo rilasciati dalle autorità competenti.

Il lavoro minuzioso richiesto prima dal riordinamento dei fondi e poi dalla descrizione con Lilarca non ci consentì di inserire grandi quantità di dati, riuscimmo a trattare alcuni fondi di femministe genovesi e del CDLC, il Fondo di Piera Zumaglino a Torino, una sperimentazione al Centrodonna di Mestre… i quasi duemila record del Centrodonna non sono però stati versati alla Rete, quindi Lilarca aveva alla fine circa 600 record, tra schede di Fondi, di unità e di singoli documenti. Assomigliava nel funzionamento ai sofware diffusi da varie regioni italiane, ma era autoprodotto, non facile da usare ma velocissimo nella ricerca e restituzione dei risultati, e molto ricco di elementi informativi, fino agli abstract dei documenti.

Il web

Una svolta ci fu quando si decise di portare le basi dati Lilith e Lilarca sul web, sulla piattaforma del Serverdonne gestito dall’Associazione Orlando di Bologna, verso la fine degli anni Novanta. Questa decisione mise in questione le modalità di autofinanziamento della rete, che si basava sulle quote dei centri associati e abbonati. Si scelse comunque di rendere la consultazione aperta e gratuita, solo di non pubblicare gli abstract dei record, secondo lo spirito originario di condivisione e di democrazia che aveva animato tutte le nostre realizzazioni. La presidenza della Rete che era stata per anni a Cagliari con Annalisa Diaz passò a Bologna, con Annamaria Tagliavini. Le basi dati rimasero consultabili e interrogabili per diversi anni. Nel sito di Lilith furono pubblicati testi, articoli, interventi a convegni e seminari e il sito didattico “Il piacere dell’archivio”, ancora oggi disponibile. Abbiamo lavorato insieme ancora in un progetto europeo, Abside, nel 2003-2004. Ci siamo riviste di nuovo, in un piccolo gruppo, a Bevagna, dove durante un weekend nel 2008 abbiamo girato il video “Liliwood” per raccontare attraverso interviste il percorso della Rete, in questi anni abbiamo anche tenuto un blog Liliblog. Poi, per problemi tecnici, prima Lilarca e in seguito anche Lilith, nel 2018, non sono state più consultabili. Anche in una situazione di sostanziale stallo delle attività della rete abbiamo mantenuto i contatti, consolidati da tanti anni di amicizia e lavoro comune. L’ultima realizzazione è la pagina di Wikipedia dedicata alla Rete Lilith e la sua storia. L’attività dei centri, negli anni post duemila, ha subito trasformazioni radicali. E qui siamo arrivate alla situazione recente.

Il presente

Nel marzo 2018 a Ferrara il CDD e la casa editrice Luciana Tufani hanno organizzato il convegno nazionale “Ieri, oggi, domani. I gruppi femministi si raccontano e si interrogano” a cui hanno partecipato numerose realtà di donne nei campi dell’editoria, del giornalismo, del web e delle associazioni. Il gruppo archivi della Rete ha organizzato all’interno del convegno un seminario, per fare il punto sulla situazione degli archivi femministi. Hanno partecipato 15 archivi, 3 hanno aderito ma non in presenza fornendo informazioni sulla loro situazione attuale.

Archivi femministi partecipanti al seminario di Ferrara

•    Torino
Laàdan, che associa:
Archivio donne in Piemonte (ArdP)   
Centro documentazione pensiero femminile  
Associazione Zumaglino Casa delle donne

•    Palermo
Archivia Donne in relazione (articolo su «Paese delle donne»)

•    Verona
Centro di documentazione Archivia, Gruppo memoria – Circolo della Rosa

•    Bologna
Associazione Orlando;

•    Fiuggi (FR)
Fondazione Adkins Chiti Donne in musica

•    Genova
Associazione Archinaute;

Associazione per un Archivio dei movimenti (Archimovi); 

•    Roma
Archivia-Casa internazionale delle donne

•    Sesto San Giovanni (MI)
Laboratorio Maia – ISEC

•    Ferrara
Centro documentazione donna 

•    Cagliari
Centro di documentazione e studi delle donne
Circola nel cinema “Alice Guy”

•    Trieste
Centro documentazione Elca Ruzzier della Casa internazionale delle donne

•    Firenze 
Rete Lilith

Archivi non presenti al seminario per impegni precedenti, che hanno risposto al questionario inviato:
Centro di documentazione donne Modenainfo@cddonna.it 
Fondazione Elvira Badaracco Milanofondbadaracco@mclink.it
Archivio Mara Meoni Siena

Dai contatti avuti per la preparazione del seminario, e anche dalle difficoltà di raggiungere vecchi centri aderenti alla rete, ci è sembrato di poter descrivere così l’evolversi di molte realtà femministe.

Alcuni centri che conservavano archivi e biblioteche si sono “ibridati” con Enti pubblici locali, in genere Comuni, mantenendo aperte attività finanziate con qualche risorsa, come gli sportelli contro la violenza, ma trasferendo a questi enti il loro patrimonio bibliografico e archivistico. Esempio la casa delle donne di Pisa, il centro donna di Grosseto, il centro donna di Rimini, la Biblioteca Melusine de L’Aquila, la Biblioteca delle donne di Ancona, e altri. Questo fatto è dovuto probabilmente alla cessazione in questo periodo di quelle poche risorse che gli enti locali destinavano a progetti culturali e al dirottamento verso attività cosidette”sociali”.

Altri centri, dotati di maggiore autonomia, hanno mantenuto l’attività di archivio aperto alla consultazione, faccio l’esempio della Fondazione Badaracco di Milano, unica Fondazione privata nel panorama dei centri femministi, la LUD sempre a Milano con gli Archivi Riuniti, del centro di Modena, di quello di Bologna, dell’Archivio Zumaglino e di ArdiPI a Torino, di Archivia a Roma, del centro donna di Bolzano, del centro di Ferrara, di Trieste e quello di Cagliari e altri.

Alcuni si sono formati per fusione o gemmazione: Archivia a Verona dal Circolo della Rosa con le Pari Opportunità del Comune, il laboratorio Maia all’interno dell’Isec di Sesto san Giovanni. Particolare l’esperienza di Archivia donne in relazione di Palermo, è un archivio speciale dedicato al reperimento di testi scritti da donne di cui ricostruisce la biografia e su cui le aderenti al centro scrivono nuovi testi o poesie, poi comunicate con pubbliche iniziative. Abbiamo conosciuto come un archivio “nuovo” per noi, che invece esiste da molti anni, la Fondazione Adkins Chiti donne in musica di Fiuggi, che promuove e sostiene compositrici di tutto il mondo ed ha un grande patrimonio documentario, un database, un archivio e una biblioteca. Relativamente nuova anche l’Associazione toponomastica femminile, con archivio di fotografie di targhe e lapidi a soggetto femminile.

Archivi preesistenti si sono trasformati e ora vivono sul web, come il “femminismoruggente” di Padova, con fondi di donne attive in Lotta femminista. Il Laboratorio Immagine donna di Firenze organizza il Festival internazionale Cinema Donna, e gestisce un archivio. Anche il Circola nel Cinema Alice Guy di Cagliari si occupa di Cinema delle donne e verserà al Centro di documentazione la Tarantola il suo ricco archivio e filmoteca.

Non continuo oltre questo elenco, ho tralasciato sicuramente molti nomi ma non è possibile dare conto di tutte le realtà.

Ci sono strumenti per raggiungere attraverso il web gli archivi femministi?

Qui si apre una pagina abbastanza complessa e forse un po’ noiosa, ma indispensabile.

Come saprete, non esiste un portale indipendente che raccolga gli archivi femministi. Ci sono link su molti siti di centri, che vengono aggiornati dalle responsabili, ma una piattaforma organica non c’è tuttora. Alcuni archivi sono presenti su portali regionali, come Archivia Roma che aderisce a Lazio ‘900, dove ha esportato il materiale archivistico descritto con il precedente sw Gea, ma i sistemi sono però separati tra loro e costruiti con software diversi. Le migrazioni da una piattaforma ad un’altra subiscono le evoluzioni rapide e sono condizionate dalle scelte degli Enti territoriali a cui si fa riferimento, e comportano disagi elevati: Non è come ricominciare daccapo, ma bisogna riprendere il filo del discorso con un nuovo linguaggio e con nuove strutture e impostazioni” dice Gabriella Nisticò di Archivia Roma.

Guardiamo le realtà istituzionali nazionali. Le Soprintendenze regionali (che tutelano gli archivi non statali, quindi anche i nostri) dell’Emilia Romagna e Trentino, hanno compiuto negli anni dal 2010 al 2016 due grandi censimenti, sugli archivi delle donne (non solo femministi). Il progetto di questi censimenti si può leggere sulla pagina della Soprintendenza dell’E-R. Ai risultati vanno aggiunte le schedature di altre Soprintendenze, non però sistematiche. Le schede dei censimenti sono confluite in SIUSA, il Sistema informativo unificato delle Soprintendenze archivistiche.

Interrogando SIUSA dalla Home page generale con il termine “femminis” (il sistema ricerca parole o pezzi di parole nei testi delle schede inserite, distinguendo i complessi archivisti (fondi, serie ecc. i soggetti produttori, i soggetti conservatori) abbiamo questi risultati

5 soggetti conservatori (Archivia Roma, Bolzano, CDD Lucca, Bologna, Modena)
45 complessi archivisti ( 20 sono solo quelli di Archimovi)
50 soggetti produttori.

Non è un risultato soddisfacente.
Si può andare allora sul “percorso tematico“, una indicizzazione di archivi e fondi al femminile, pensata da Siusa per mettere in evidenza gli archivi delle donne. Buona l’idea, vediamo i risultati

Se dentro “Archivi al femminile“, quindi “archivi e nuclei documentari organici prodotti dalle donne in forma individuale e collettiva e da altre tipologie di soggetti (associazioni, movimenti, imprese, scuole, enti religiosi, opere pie, gruppi sportivi) che rappresentano il mondo femminile“, i risultati cambiano:

944 complessi archivistici
495 soggetti produttori
210 soggetti conservatori

Mie considerazioni: la lista di 25 pagine dei fondi o complessi archivistici, a meno di non conoscere esattamente cosa si cerca, mescola tipologie di fondi davvero diversi.

I 495 soggetti produttori sono persone, famiglie, Enti. Se però raffini la ricerca col termine “femminis” hai 11 soggetti produttori e 1 sogg. conservatore, cioè Bologna; dipende sempre dalle schede inserite: bisogna sapere prima che per essere trovate, a qualunque livello di descrizione la scheda sia riferita, ci deve essere il termine “femminismo”, o “femminista” nel testo. Se no, niente. Questo spiega altre cose che a prima vista sono strane: per esempio, Archimovi non risulta nei risultati dei soggetti conservatori, ma risultano molti suoi fondi, nelle cui schede il termine era presente. Quindi, si tratta di aggiungerlo in modo omogeneo in tutte le schede in cui deve essere trovato. (Ma bisogna saperlo prima!).
Sempre nella ricerca tematica “Archivi al femminile”, se si cercano inventari completi ce ne sono solo 31 come pagine interne al sistema, ci sono i link ai siti dei soggetti conservatori o dei fondi, come link esterni. Altre ricerche fatte: con lesbica o lesbiche si trova solo Arcilesbica e il Cassero di Bologna, idem con Omossessuali o gay. Con “transessuali” si trova il Centro di doc. Sylvia Rivera e basta. Questa ricerca non è sfiziosa: mai come in questo momento stanno emergendo soggettività sessuate plurime, che cercano di rompere la dicotomia inferiorizzante, alla base di tutte le dicotomie che la cultura patriarcale impone: maschio-femmina, bianco-nero, anima-corpo, amico-nemico e così via. E quindi rivendicano non solo diritti civili, ma anche il diritto fondamentale ad essere riconosciuti/e come soggetti, con la fondamentale dignità di avere e tramandare memoria di sé, personale e collettiva. Questo cambiamento epocale ci impone, a noi che ci occupiamo della memoria, di trovare ancora una volta “le parole per dirlo”, senza semplificare la complessità che il mondo ci propone.

Tornando a Siusa, in sintesi direi che il Sistema potrebbe funzionare, con le avvertenze dette, per rendere reperibili gli archivi femministi, se gli archivi interessati prendessero contatto con le Soprintendenze e ottenessero di essere inseriti. Le lacune di Siusa sono evidenti, non ci sono gli archivi femministi del Piemonte e della Lombardia, solo qualcosa delle Marche, del Lazio e dell’Umbria, niente sul Centro-Sud e isole…

Certo, c’è un dilemma di fondo, ma è comune a tutte le basi dati non dedicate: perché per trovare le donne negli archivi bisogna fare una ricerca tematica, come per gli architetti, le fotografie, i musicisti e gli altri percorsi di Siusa? Si sottintende che le donne siano una specificità, un settore, rispetto alla generalità neutra del sistema archivi. Che neutra non è, come sappiamo, affrontando il discorso a un livello che buca la teoriae pratica archivistica e ne fa un problema politico, e sociale: il sistema -archivi è un prodotto del patriarcato al potere da millenni, anzi è un simbolo di questo potere, specchio deformato quanto si vuole, ma sempre saldamente maschile spacciato per neutro-universale. Nessuno testo esplicativo del Sistema Siusa chiarisce questo elementare concetto, nemmeno nelle pagine introduttive ai censimenti e al percorso tematico. Non è per un accidente o per deficit naturale che le donne per lunghi secoli sono state irraggiungibili, nella maggioranza, alla memoria pubblica, è che sono state escluse da leggi, costumi, cultura e consuetudini, con una pervicacia e violenza simbolica e reale che da qualche decina di anni, dalla nascita del neofemminismo, sta apparendo chiara a livello di masse e non solo di élite. Per cui, chiarito che in questo sistema informativo, SIUSA, la ricerca tematica è l’unica possibilità, e c’è da augurarsi che si estenda e raffini sempre di più, non sarebbe d’obbligo esplicitare le ragioni storiche di questa dissimetria?

Ancora un capitolo: i fondi femministi negli Archivi dei movimenti.

Io faccio parte dell’Archivio dei movimenti a Genova e in Liguria, che ho contribuito a fondare, un archivio che esiste da dieci anni, quindi giovane, che raccoglie i materiali dei movimenti politici dagli anni 60 a oggi. Contiene molti fondi di femministe e di donne, personali o di Associazioni, come il vecchio CDLC/Archinaute, e l’archivio e raccolta libraria del Coordinamento donne FLM. E’ stato dichiarato di particolare interesse dalla Soprintendenza, e inserito in SIUSA, anche nel percorso al femminile.

La scelta di creare un archivio misto, con anche documenti di gruppi e singoli uomini, è stata in parte una scelta politica, visto che non esisteva niente a Genova per i movimenti (dai verdi alla sinistra extraparlamentare, alle lotte proletarie e operaie, ai cattolici del dissenso, al movimento omosessuale, e via così) in parte obbligata, per avere una sede gratuita in convenzione con il Comune e gestire la consultazione nei locali ampi e adatti della Biblioteca Berio, la biblioteca civica centrale. Abbiamo così concentrato in un solo luogo i fondi documentari dei movimenti, persone e gruppi, a oggi 92, con raccolta libraria ed emeroteca, riordinati e descritti, gli inventari sono sul sito dell’archivio3.

Questa convivenza è molto utile: possiamo studiare le somiglianze e le differenze tra fondi maschili e femminili, monitorare i temi delle ricerche, fare delle considerazioni sul genere di rapporto che lega i donatori e donatrici ai loro documenti sia all’atto della donazione che in seguito, nel frequentare le diverse attività organizzate dall’Associazione che gestisce Archimovi.4

Come l’Archimovi genovese, gli Archivi dei movimenti sono numerosi, e diversi conservano documentazione femminista. Andiamoli a vedere più da vicino. Ho lanciato alcune sonde, un elementare carotaggio, in alcuni di essi, per vedere il rapporto tra fondi femministi e non. Ho seguito le indicazioni del sociologo australiano Robert W. Connell, nel presentare i dati percentuali riferiti a donne e uomini. Connell si occupa nel suo testo (Questioni di genere, il Mulino 2006) di reddito femminile e maschile su scala mondiale, quello femminile è il 56% di quello degli uomini. Connell fa questa importante considerazione: “il modo stesso di presentare le informazioni persiste nella cattiva abitudine di definire le donne solo in relazione agli uomini. Potremo ribaltare l’equazione e considerare le risorse di cui gli uomini possono disporre. Le stesse cifre, lette in questo altro modo, mostrano che il reddito maschile su scala mondiale è pari al 179% di quello delle donne. Chiamerò questo surplus “dividendo patriarcale“, riferendomi al vantaggio che deriva agli uomini come gruppo dal mantenere un ordine di genere improntato alle disuguaglianze”

Esiste un dividendo patriarcale negli archivi dei movimenti post 68?

Parlo di loro, perchè storicamente sono stati l’ambito di azione e relazione almeno di parte dei femminismi, ma potrei parlare anche degli Archivi della Sinistra Storica, il Gramsci, l’Archivio Basso, il Vera Nocentini ecc.

Archivio movimenti Genova http://www.archiviomovimenti.org

su 92 fondi 23 sono femministi

23: 92 = x : 100 25%

25%:100 = 100: x 400% Dividendo Patriarcale

Archivio 68-77. Gruppi e movimenti si raccontano…http://www.nelvento.net/archivio/68/index.html

27 documenti su 289 (trascurando i 116 link esterni al sito)= 9.34 %

9,34:100 = 100:x cioè i documenti dei maschi sono 1070% più di quelli femminili (dividendo patriarcale, DP)

Marco Pezzi di Bologna

http://www.comune.bologna.it/iperbole/asnsmp/catalogo.htm#f1

Fondo Marco Pezzi

Su 557 fascicoli schedati (sommariamente) forse una decina contengono documenti riferibili al movimento delle donne, di cui due al femminismo gli altri alla “questione femminile”, due a riviste.

Significa che i fascicoli che riguardano uomini sono 5586% di più di quelli femminili, DP

Centro documentazione Lucca

http://www.comune.bologna.it/iperbole/asnsmp/lucca.htm

1 busta Femminismo su 75, più i fondi personali e quelli dei partiti

DP 7500% in più

Centro documentazione Pistoia

Progetto Scripta volant, volantini, una sezione femminismo (200 volantini) su 8 sezioni

DP 800% in più

ABMO http://www.archiviobiograficomovimentooperaio.org

Archivio Biografico del Movimento Operaio nasce nel 2012 per l’interessamento di due istituti di studi di Genova: l’Istituto “Sergio Motosi” per lo Studio del Movimento Operaio Internazionale e l’Istituto di Studi sul Capitalismo. Un disegno volto alla realizzazione di un Archivio Biograficodel movimento operaio italiano dove lo storico, lo studioso o il militante possa trovare non solo i cento dirigenti conosciuti ma anche le migliaia di esponenti minori, spesso ignoti, che hanno contribuito a realizzare la storia complessiva della classe operaia.

Ricerca di biografie femminili

Alla lettera A niente

Alla B 7 su 228 significa che percentualmente alla lettera B le biografie maschili sono 3333% più di quelle femminili

E si potrebbe continuare….

Non che gli archivi storici stiano meglio, due esempi

Fondazione Gramsci Roma: 3 fondi femminili su 16, DP 533%

Istituto Lelio e Lisli Basso: 5 fondi femminili su 33, DP 666%

Il dividendo patriarcale, in un mondo di archivi, indica in che percentuale i fondi maschili di singoli o di organizzazioni sono più presenti, visibili e accessibili rispetto ai fondi femministi. La storia si costruisce inevitabilmente attraverso le fonti di tutti i generi, materiali, testuali, visuali e orali. Che tipo di storia vogliamo? Abbiamo ancora tanto lavoro da fare…

Grazie.

1 I riferimenti erano il libro notissimo di Patrizia Violi, “L’infinito singolare”, 1986, e l’altrettanto noto libro di Alma Sabatini, “Il sessismo nella lingua italiana” 1987

2 in Reti della memoria sopracitato ci sono un suo intervento su “Archivi neutri e archivi di genere”, dal corso NOW organizzato a Bolzano dal Centro donna, e la tavola rotonda “Fondi documentari delle donne a Roma”, corso NOW 1994 a Roma. Alla tavola rotonda Linda parlò dei fondi dell’Istituto Gramsci, e la storica Lucia Motti in particolare dell’Archivio storico delle donne Camilla Ravera, Maria Michetti dell’Archivio storico dell’Udi, Fiorenza Taricone per l’archivio del CNDI, e altre intervenute di altri archivi femminili.

3Www.archiviomovimenti.org

4Da queste indagini è nato anche un libro, basato su documenti e interviste, “Voci d’archivio. La storia pubblica incontra il 68“, tesi di laurea specialistica di una giovane compagna, Virginia Niri, che poi è stato stampato da noi e una seconda edizione anche dall’Università.