Intervento di Paola De Ferrari al seminario internazionale Archivi del femminismo: conservare progettare comunicare, Milano, 5-6 ottobre 2001 organizzato dalla Fondazione Elvira Badaracco, che ne ha curato gli atti.

Archivisti come angeli?

Antonella Tarpino, nel suo libro Sentimenti del passato dedicato alla “dimensione esistenziale del lavoro storico”, citando il film di Wim Wenders “Il cielo sopra Berlino” si chiede se gli storici siano come angeli. La stessa domanda possiamo rivolgere al mondo degli archivi: “Archivisti/e come angeli?”

Gli angeli di Berlino ascoltano, si affiancano agli umani e li sfiorano; solo frammenti di pensieri li raggiungono. Essi stanno lì dall’inizio, possono muoversi senza sforzo avanti e indietro nel tempo della storia anche prima della storia:
“Levata del sole 7 e 22, calata 16 e 28, levata della luna 19,04. Vent’anni fa un caccia sovietico si schiantava a Spandau, proprio vicino al lago di Stuss. Cinquant’anni fa ci furono le Olimpiadi. Duecento anni fa Nicolas Francoise Blanchard sorvolava in aerostato la città, l’hanno fatto di recente anche i fuggiaschi”
Ma la sua esistenza puramente spirituale non soddisfa più l’angelo Damiel: “Non far nient’altro che osservare, raccogliere, testimoniare, testare, custodire, restare spiriti, rimanere alla distanza, stare alla parola…Ogni volta che abbiamo fatto qualcosa era per finta. Per finta ci siamo seduti a un tavolo e abbiamo mangiato…ci siamo fatti arrostire l’agnello e abbiamo chiesto vino per finta, sotto le tende del deserto, solo per finta” e poi:
“Si, voglio conquistarmi una storia, trasformare quello che so del mio sguardo senza tempo per sostenere un’occhiata dura, un breve grido, un odore acre. Basta con il mondo dietro al mondo”

Le donne si sono “conquistate una storia”; sono discese dal cielo, pagando alti prezzi. E hanno preso la sessuazione sul serio, come principio di realtà di un materialismo femminista (Emma Baeri), come una delle coordinate che permettono di agire nel mondo – a maggior ragione nell’ambito della storia e della memoria.

L’attraversamento critico del linguaggio “naturale” ha fornito strumenti alla critica dei linguaggi usati negli ambiti tecnici, scientifici, professionali, irti di specialismi e tecnicismi, la cui “angelicità” ovvero “neutralità” era sussunta come garanzia di una visione generale e imparziale del mondo. Il maschile/neutro trapassa dalla grammatica all’ideologia che struttura teorie e pratiche delle professioni documentarie (come tutte le altre) – diventando un abito mentale “professionale” tanto più resistente quanto più inconsapevole; che, nel mondo degli archivi, è servito da alibi per la rimozione della problematica della memoria storica femminile, oltre che delle classi, ceti e gruppi sociali subordinati.

La “neutralità” e “avalutatività”, atteggiamenti raccomandati all’archivista professionista nei confronti dei suoi oggetti di lavoro e dei suoi utenti, sono trascesi da un corretto comportamento deontologico a un principio “teorico” di subordinazione alle istanze del potere, incarnato sia nella struttura degli archivi che nella teoria e prassi che li descrive, conserva e gestisce. Come spiegare altrimenti l’inesistenza, negli archivi pubblici italiani, della memoria delle donne? Quando già dagli anni Trenta del XX secolo in Europa nascevano istituzioni pubbliche e private a essa dedicate? In Italia l’attenzione a questa tematica, da parte delle istituzioni pubbliche, è fatto recentissimo e ancora per niente diffuso.

Reti di donne e di archivi

Con gli anni ’80 del 900 si inaugura, nel movimento e nella società civile, un nuovo modo di mettere in relazione le attività politiche e culturali delle donne – le Reti- che nascono insieme allo sviluppo dell’informatica e della telematica. Fin dall’inizio assumono la doppia valenza di network, che è insieme rete di comunicazione, nazionale e transnazionale, e lavoro collaborativo tra donne. Questo lungo e lento processo è esploso recentemente all’attenzione pubblica a livello mondiale nel movimento new-global, ma nella sua gestazione ventennale la componente femminile è stata determinante.

La Rete Lilith, dopo una lunga esperienza nelle biblioteche e nei centri di documentazione, ha iniziato negli anni ’90 a lavorare sistematicamente sugli archivi delle donne, con il progetto intitolato Reti della memoria.
Oggi esso è rivolto al recupero, inventariazione, descrizione informatizzata e creazione di un OPAC (on line public access catalogue) all’interno del sito internet Lilith/Lilarca dedicato agli archivi femminili – un archivio virtuale – che raccolga le descrizioni di archivi reali sparsi in varie regioni italiane, archivi del femminismo, di Centri donne, di gruppi Udi.
I primi che saranno tra breve consultabili on-line saranno l’Archivio Piera Zumaglino dell’omonima associazione torinese, fondamentale per la storia dei femminismi a Torino, e l’Archivio del Coordinamento donne lavoro cultura di Genova, che aggrega anche fondi personali di femministe. In sintesi, il trattamento informatico prevede una descrizione molto analitica, che si spinge in alcuni fondi fino al livello del singolo documento, impostata sugli standard Isad(g) e che utilizza anche, sperimentalmente, i descrittori del thesarus Linguaggiodonna per l’accesso semantico a livello di serie e documenti. Il software usato è Lilarca, creato dalla rete Lilith come applicativo di Winisis, che permette la navigazione ipertestuale all’interno del singolo fondo o dell’intero database, oltre che la ricerca per singoli campi, parole chiave o liste.

Contesti virtuali

La descrizione informatizzata della documentazione è oggi diventata abbastanza frequente e condivisa; quindi è interessante ragionare sulla creazione del contesto in cui avviene la consultazione a distanza, di quali “strumenti di corredo” virtuali si mettono a disposizione degli/delle utenti. Bisogna rispondere ad alcune domande, affrontando diverse questioni:

1) L'”archivio virtuale”, l’Opac (on line pubblic access catalogue) è un metodo di descrizione e ricerca adatto alla natura dei fondi documentari che si vogliono trattare?

Gli archivi del femminismo e delle organizzazioni di donne del secondo Novecento nascono come plurali, in essi le singole soggettività autoriali sono interconnesse tra loro e con autorialitài collettive. La descrizione informatica e Internet restituiscono meglio di altre le relazioni plurime tra autrici, luoghi, fondi diversi. La descrizione del contesto originario avviene attraverso la guida agli archivi, ciascuno con il collegamento alle pagine web che illustrano la sua attività. Può essere arricchita da molteplici strumenti, come i repertori Autrici/Enti autori basati sugli standard Isaar, indipendenti ma collegati all’archivio; indici, ma anche immagini, filmati e audio come relazioni di contesto sono facilmente pubblicabili e aggiornabili.

2) Omogeneità dell’ambiente della ricerca

L’omogeneità dell’ambiente di formazione della documentazione (il femminismo e il movimento delle donne del secondo ‘900) consente di creare un ambiente di ricerca omogeneo. Ciò permette di definire con maggiore trasparenza i criteri e le scelte archivistiche a monte, comprese quelle di adottare un linguaggio di descrizione non “neutro”, che si concretizza nell’individuazione e selezione degli elementi informativi (ad es. le etichette dei campi), nell’uso del Thesaurus di genere (implementato nel tempo, consente nello stesso tempo un controllo e un arricchimento dei descrittori per l’accesso semantico al contenuto).
Sottolineo la scelta di rendere consultabile a tutte/i su Internet questa documentazione senza porre limiti, per il suo valore politico di memoria storica e recente delle donne

3) Evidenziare il contesto attuale della consultazione.

Un database archivistico ha le funzioni di un inventario (perchè è un elenco ordinato degli elementi che compongono un archivio), e nello stesso tempo contiene un insieme di testi descrittivi, sommari, indici, immagini, collegamenti ipertestuali e ipertesti veri e propri ecc. Esso si propone anche come “metafonte”; pertanto è importante descrivere il contesto culturale e politico in cui nasce oggi, le scelte delle autrici, i criteri che le informano di volta in volta: non, come ho già detto, alla ricerca di una impossibile neutralità e imparzialità, ma proprio riconoscendo il peso delle operazioni interpretative che si compiono e assumendone la responsabilità.

4)Conservazione

Il tema della conservazione e possibilità di fruizione nel tempo degli archivi (oltre la conservazione materiale delle carte) riguarda i problemi della migrazione dei software e della interoperabilità con altri sistemi informativi. Già ora si va affermando Internet come standard condiviso di comunicazione tra archivi nati con sistemi diversi (a questo proposito, il software da noi adottato Winisis 1.4 consente l’esportazione in formato XML)

Ad altezza d’occhi

Molto altro si potrebbe dire, ma preferisco, facendo un passo indietro, tornare ai temi che riguardano la costruzione nel tempo di questo nostro punto di vista, nell’intersezione di lavoro culturale, politico, disciplinare. Ancora una citazione dell’angelo Damiel:
” Noi, che non siamo ancora nati, scendiamo dalla torre: guardare non è guardare dall’alto, ma ad altezza d’occhi”
Occhi umani, sguardi femminili disincantati sulle algide costruzioni teoriche che sorreggono il mondo della conservazione della memoria, che finora non ha guardato verso di noi.

La distanza tra una teoria archivistica impostata su presupposti positivisti e la realtà del lavoro sulle fonti della contemporaneità è diventata enorme.
Per il concetto di contemporaneità faccio riferimento a Giovanni De Luna in “La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo”. (Nuova Italia, 2001)
“Nel Novecento il tempo smise di essere il principio ordinatore degli eventi umani e della loro rappresentazione storica fondata sulla successione e concatenazione. Il continuum passato-presente-futuro è stato ripristinato, smarrendo, però, il suo tradizionale assetto lineare per assumere una configurazione in cui il presente (un presente enormemente dilatato) è il punto di incrocio costantemente mobile tra passato e futuro, territorio in cui gli storici organizzano e gestiscono lo scambio tra “spazio d’esperienza” (l’insieme delle eredità del passato) e “orizzonte d’attesa”. Partendo da questo presente lo storico si muove tra passato e futuro, in una contemporaneità i cui confini cronologici sono così fissati non dalle periodizzazioni classiche […] ma dall’esperienza della simultaneità: prima la telefonia e la radio, poi il fax, le reti telematiche, il trasporto aereo e ovviamente il cinema e la televisione, hanno infatti consentito l’accesso a una pluralità di spazi e tempi tale da disintegrare l’unicità lineare del tempo e dello spazio che aveva definito lo statuto della storia nel XIX secolo”.
In un tempo dilatato e continuo, a partire dal presente, anche lo spazio storico del ‘900 si trasforma:
“rimodellandosi sulla scala di una dimensione planetaria, spazio in movimento, spazio accessibile istantaneamente, senza più il tempo che era necessario per percorrere le antiche distanze”.

Queste profonde trasformazioni riguardano anche la teoria delle fonti: “Ogni documento è un monumento”. Il processo al documento, come lo definisce Foucault “non tende più solo a stabilire se il documento dice la verità, quale sia il suo valore espressivo…ma lo lavora dall’interno, definendo al suo interno “unità, insiemi, serie, rapporti…”
In conseguenza, lo storico costruisce epistemologicamente le proprie fonti, in base alla congruenza con il proprio argomento e il programma di ricerca. “All’inizio non c’è il documento, ma il problema” (Le Goff)

Il discorso sulle fonti riguarda direttamente la teoria archivistica. In un intervento nel workshop fiorentino dell’ottobre 2000 dedicato agli archivi e alla ricerca storica su Internet, Stefano Vitali fa questa osservazione sugli strumenti di ricerca in archivio:

“In realtà questi ultimi non costituiscono mai un terreno totalmente neutrale: l’articolazione degli strumenti ricerca e la struttura stessa delle descrizioni archivistiche veicolano sempre ideologie, visioni del mondo e soprattutto della storia…
Qualsiasi ipotesi di strutturazione dell’informazione contiene, implicitamente o esplicitamente, una proposta, forte o debole che sia, di attribuzione di senso all’informazione stessa.”

Ma viene da un archivista canadese il tentativo più radicale di interpretazione delle trasformazioni del presente. Mi riferisco al saggio di Terry Cook in Archival Science n.1, 2001, intitolato “Scienza archivistica e postmodernismo, nuove formulazioni per vecchi concetti“. Lo scenario mi pare lo stesso della contemporaneità di cui parla De Luna, anche se Cook usa definizioni “postmoderniste” (la traduzione, compresi eventuali errori, è mia).

L’incipit è molto chiaro: “Il ruolo della scienza archivistica in un mondo postmoderno sfida gli archivisti a ripensare la loro disciplina e pratica”.
Egli sostiene che è necessario un vero “paradigm shift”,[Thomas Kuhn, 1962] un cambiamento paradigmatico e non un mero adattamento ai nuovi media e alle nuove tecniche di creazione documentaria.
“Il cuore del nuovo paradigma è un cambiamento, dal vedere i documenti come oggetti fisici statici al considerarli come concetti virtuali dinamici; da prodotti passivi delle attività umane o amministrative a agenti attivi nella formazione della memoria; dal vedere il contesto della creazione documentaria stabilmente riposante in organizzazioni gerarchiche – al situare i documenti in reti fluide orizzontali di flussi produttivi”(p. 4)
Non è da soffermarsi, e non lo fa nemmeno Cook, sui legami e interferenze tra il postmodernismo filosofico e altri ambiti del pensiero (linguistica, semiotica, ermeneutica, iconologia e marxismo e femminismo…) Ricordo solo il pensiero di Rosi Braidotti, e alcuni riferimenti di Cook alla elaborazione femminista.

“Il contesto dietro il testo, le relazioni di potere che modellano il patrimonio documentario e infine la struttura del documento, il sistema informativo presente e le convenzioni narrative sono più importanti che l’oggetto stesso o il suo contenuto. I fatti nei testi non possono essere separati dalla loro interpretazione presente e passata… Nulla è neutrale. Nulla è imparziale. Nulla è oggettivo”.
E, poco dopo:
“Il documento è un segno, un significante, una costruzione mediata e sempre cangiante, non un recipiente vuoto in cui sono stivati atti e fatti” (p.7)

Cook osserva che gli archivisti si sono sempre preoccupati della contestualizzazione e di rendere evidenti i legami di provenienza dei complessi documentari, tuttavia le sue osservazioni hanno inquietanti conseguenze sulla pretesa fondamentale della professione: di essere neutrali e imparziali custodi della verità, e che il linguaggio imposto ai documenti attraverso l’organizzazione e la descrizione archivistica siano una riproposizione avalutativa della loro realtà originaria.
Cook sostiene la necessità di un ripensamento globale dei concetti alla base del lavoro in archivio, verso la consapevolezza di essere soggetti attivi e responsabili di interventi culturali, da cui non ci si può “chiamare fuori”, come non si può non essere trasparenti sulle scelte che comunque si è chiamati a fare: gli archivi non sono più funzionali soltanto allo Stato e alle istituzioni, servono una comunità ben più vasta, come dice Eric Ketelaar, sono “of the people, for the people, even by the people”, sono uno strumento di governance più che di governement. Un concetto molto alto di servizio a una comunità di viventi e di già vissuti.
Questa celebre formula è carica di implicazioni per niente scontate, in Italia e ai nostri giorni.
Per finire, voglio riprendere le definizioni di Cook per sostanziare il suo punto di vista a proposito di altrettanti fondamentali concetti archivistici:

1) la provenienza: è connessa più alle funzioni e all’attività che alla struttura in senso organizzativo. Diviene più virtuale che fisica.

2) l’ordine originario (specie nei sistemi informatizzati, ma non solo) perde senso fisico e riflette gli usi molteplici dei differenti utenti (e possiamo vederlo bene negli archivi delle nostre associazioni…)

3) il documento, da oggetto fisico caratterizzato da supporto, struttura, contenuto, diviene un oggetto concettuale controllato da metadati che ricombinano i suoi elementi per attestare l’evidenza di attività o funzioni. Anche i metadati cambiano. I documenti sono dinamici e non più fissi, sono agenti attivi di trasformazioni nelle vite di individui e organizzazioni.

4) il fondo. Anche i fondi riflettono questa creazione dinamica multipla e una autorialità multipla, che si focalizza su quella funzione o attività che meglio e più precisamente li definisce nel contesto. Implicano relazioni molti a molti, più che uno a molti.

5) l’ordinamento e la descrizione archivistica: svilupperanno al massimo le informazioni contestuali

6 ) Archivi come istituti: si va verso luoghi virtuali senza pareti, che interconnettono in Internet migliaia di sistemi di ricerca e milioni di cittadini utenti.


Chiudo con una mia osservazione:
L’estremo paradosso è che l’angelo, disceso in terra alla ricerca del tempo, della storia, della carne e dei sentimenti, ha trovato invece una realtà smaterializzata, virtualizzata, come i brandelli di pensieri umani che lo sfioravano senza che gli riuscisse di toccarli. Ma questa è solo una parte del discorso: a fianco, insieme, ci sono i corpi dei viventi che queste relazioni per quanto virtuali connettono, donne, uomini, carne, sangue, paura, dolore angoscia e voglia di cambiamento: tutto come al solito, ma stretti in un nodo che oggi, ottobre 2001, è più intenso e drammatico.

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Nota: l’intervento al Seminario era una sintesi del presente testo, per motivi contingenti